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giovedì 28 febbraio 2019

QUESTA SERA "LA SCORTECATA" DI EMMA DANTE AL TEATRO VILLA DEI LEONI DI MIRA

“Il buio è totale e prolungato, saturo di un’attesa che, quasi confidente, esonda in brevi sprazzi di applausi. Al centro della scena nera, la fosforescenza azzurra di un castello giocattolo, issato su uno sgabello, e due sedie di legno. Le luci si accendono all’improvviso, tingendo il pavimento di arancione, il silenzio si fa perfetto. Le sedie sono ora occupate da Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola, i corpi ricurvi in abiti sbrindellati, agitati da un palpito indecifrabile, impegnati in un’operazione concitata che assomiglia al lavaggio dei denti.” Così esordisce la recensione critica di Ilaria Rossini per Teatro e Critica sul debutto de La Scortecata, l’acclamata creazione della pluripremiata regista Emma Dante che approda a Mira il Teatro fa centro, stagione teatrale promossa ed organizzata al teatro Villa dei Leoni dal Comune di Mira con la collaborazione del circuito regionale Arteven. Questa sera, giovedì 28 febbraio dalle ore 21, in scena una fiaba cruda e tremenda, archetipica e ancestrale tratta da Lo Cunto de li cunti di Giambattista Basile. Racconta Emma Dante nelle sue note di regia: «La scortecata è lo trattenimiento decemo de la iornata primma e narra la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, la quale vive in una catapecchia insieme alla sorella più vecchia di lei.
Il re, gabbato dal dito che la vecchia gli mostra dal buco della serratura, la invita a dormire con lui. Ma dopo l’amplesso, accorgendosi di essere stato ingannato, la butta giù dalla finestra. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo e diventata una bellissima giovane, il re se la prende per moglie. In una scena vuota, due uomini, a cui sono affidati i ruoli femminili come nella tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando le due vecchie e il re. Basteranno due seggiulelle per fare il vascio, una porta per fare entra ed esci dalla catapecchia e un castello in miniatura per evocare il sogno. Le due vecchie, sole e brutte, si sopportano a fatica ma non possono vivere l'una senza l'altra. Per far passare il tempo nella loro miseria vita inscenano la favola con umorismo e volgarità, e quando alla fine non arriva il fatidico "e vissero felici e contenti” la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova. La morale: il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono d’ombre la vista. Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si da a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le fiigliole, si causa l’allucco della gente e la rovina di s stessa».

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